Tracce di carta

In tempi di coronavirus e di, talvolta, forzata solitudine, libri e carte del tempo andato possono essere di grande compagnia. L’immaginazione prende il volo e, almeno per i cultori della memoria, il passato rivive. Con uno sguardo, però, rivolto al futuro. Gli archivi, con le loro biblioteche, epistolari, faldoni zeppi di foto e documenti, esistono appunto per questo: dialogare con chi ci ha preceduto e trasmettere testimonianze preziose a chi ci seguirà. Ma con quali criteri tutto questo materiale si ordina e si conserva? Perché alcune cose si gettano e altre no? Cosa è memoria collettiva e cosa non lo è? C’è da discuterne, ma è certo che chi sceglie di prendersi cura delle tracce degli avi lo fa anche per ritrovare le proprie radici. Si tratta di un’esperienza intima, interiore, di una forma di rielaborazione personale. È un modo, insomma, di raccontare la propria storia, un po’ come si fa con la scrittura.  E poi, cosa altrettanto importante, c’è la voglia di capire, oltre che se stessi, anche ciò che il protagonista medesimo di tanta vita vissuta, e ancora palpitante, non sa di aver lasciato.