La satira pungente di Alphonse Allais

Quando L’affare Blaireau venne pubblicato per la prima volta in Italia, nel 1928, dalla casa editrice Maia e nella traduzione di Enrico Piceni, pochissimi sapevano da noi chi ne fosse l’autore: Alphonse Allais (1854-1905), l’inventore dell’ ”umorismo freddo”, le cui opere, già popolari durante la Belle Époque, erano state anche molto apprezzate dai surrealisti per il loro humour sovversivo e per il gusto dell’assurdo. Il libro proposto da Maia era il quinto della prima serie di una nuova collana nata allo scopo di far conoscere ai lettori italiani, con poche lire, i più celebri scrittori della letteratura internazionale.

Oggi, a distanza di oltre novant’anni, L’affaire Blaireau torna in libreria (Elliotedizioni, Roma), questa volta con il titolo originale ma sempre nell’ancora attuale, oltre che brillante, versione italiana di Enrico Piceni, che di Allais tradusse poi anche Il Capitano Cap e i Racconti idioti, questi ultimi per Formiggini editore, con illustrazioni di Bruno Angoletta.

È cambiato il mondo, da allora, quando la Francia era nel pieno della psicosi dell’affaire Dreyfus, che aveva indotto lo scrittore francese ad architettare non a caso una satira tanto più pungente e surreale quanto più si avvicinava alla realtà. Una satira in cui le descrizioni, come si legge nella dedica dell’autore all’amico Tristan Bernard, sono molto brevi e dove “non si indugia sull’aspetto delle nuvole, degli alberi o di qualsiasi genere di vegetazione, sentieri, boschi, corsi d’acqua ecc., se non nella misura in cui questi dettagli vengono ritenuti indispensabili alla logica della storia”.

È cambiato il mondo, eppure quest’opera appartenente al genere comico ha tuttora qualcosa da dirci divertendoci. E certo il merito va un po’ anche alla traduzione che, malgrado gli anni, nulla ha perso del suo smalto e della sua freschezza.